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Rivedi il Concerto

Libero è il mio canto. Musiche di donne deportate

Le donne internate nei lager tedeschi, nei gulag russi, nei campi giapponesi e africani durante la seconda guerra mondiale, donne ebree, tedesche, polacche, ungheresi, italiane, olandesi, ma anche britanniche e australiane, sovietiche e rom, composero molta musica, a volte con il consenso dei loro aguzzini, a volte di nascosto. Sono testimonianze struggenti della creatività femminile, e della capacità di non arrendersi al male cercando disperata consolazione nella bellezza e nell’arte. E sono anche pezzi di grande valore musicale, che modificano la comune percezione della musica scritta dall’altra metà del cielo e pongono l’accento sulla discriminazione di cui le compositrici sono state fatte e continuano a essere oggetto.

L’orchestra femminile di Auschwitz

Il video del concerto del 16 gennaio

Grazie al lavoro di Francesco Lotoro, che da trent’anni si dedica alla raccolta e trascrizione delle musiche composte dagli internati durante la Seconda guerra mondiale, queste musiche sono tornate alla luce e verranno eseguite in prima assoluta a Roma il 16 gennaio. Raccontano attraverso ninna nanne, melodie popolari, incitazioni a resistere, denunce delle crudeltà delle kapò, nostalgia delle propria casa e del proprio paese, un storia privata e inedita della vita delle prigioniere, restituendoci la loro umanità, la loro singolarità che purtroppo spesso si perde nel drammatico panorama dello sterminio nazista e delle efferate detenzioni sovietiche e giapponesi.

La meravigliosa voce di Cristina Zavalloni, accompagnata da un cast di solisti internazionali darà vita ai canti per il Giorno della Memoria 2019 e le storie delle compositrici saranno evocate dalla celebre attrice Paola Pitagora. Guest star da Tel Aviv la celebre cantante Aviva Bar-On, deportata poco più che decenne nel campo di concentramento di Theresienstadt, una voce meravigliosa sopravvissuta all’orrore.

Il concerto

La produzione musicale femminile è, come peraltro la maggior parte della creatività artistica, una grande lacuna nella storia dell’umanità. Alle donne non era concesso esprimersi artisticamente in proprio, pochissime sono riuscite a sfidare le convenzioni e a imporsi come pittrici, scrittrici, compositrici, scultrici.
Paradossalmente, nei campi di concentramento, dove uomini e donne erano separati, la creatività femminile si poté esprimere, e sono molte le testimonianze di musiche e canzoni scritte da donne, che Francesco Lotoro ha raccolto e trascritto in trent’anni di paziente e meticoloso lavoro di ricerca.
Sono opere che saranno eseguite per la maggior parte in prima assoluta a Roma il 16 gennaio 2019, con arrangiamenti ricostruiti o creati ad hoc.
Ci sono canzoni drammatiche, che ricordano la tragica vita dei lager, ninna nanne per i bambini, momenti di serenità nel contemplare la natura e la primavera in arrivo, sogni d’amore, parodie di canzonette celebri all’epoca, come Io sono tanto felice, cantata in polacco con inequivocabile ironia, o Parlami d’amore Mariù, trasformata nel campo di Fossoli in una buffa preghiera per il postino.
Ma anche cori struggenti, come quello dei bambini nati nei gulag russi o il Salmo scritto per la liberazione di Auschwitz, pezzi classici come il Bolero di Ravel cantato a cappella, perché mancavano gli strumenti in un campo di internamento giapponese in Indonesia, o Dvorak cantato a Ravensbruck con parole composte dalle prigioniere.
Diverse le provenienze delle musiche. Ghetti, campi nazisti, gulag russi, campi italiani e giapponesi, zigaunerblock delle donne rom, in un repertorio che copre il periodo fra il 1930 e il 1953 e documenta la sofferenza di donne di diversa provenienza, religione, cultura, accomunate dal desiderio di creare ed esprimere bellezza anche nell’orrore e nella tragedia.

Leggi in dettaglio il programma del concerto

Saranno 18 le partiture che, grazie al lavoro di Francesco Lotoro, torneranno a vivere il 16 gennaio eseguite per la maggior parte in prima assoluta con arrangiamenti ricostruiti o creati ad hoc dal Maestro.
Durante la serata si alterneranno sogni d’amore, incitazioni alla resistenza, denunce di crudeltà disumane, ninna nanne per bambini, brani dedicati alla natura e all’arrivo della primavera, parodie di celebri canzonette, tra cui Mamma, son tanto felice, notissima internazionalmente, che veniva cantata in polacco nel Stammlerlager di Auschwitz, con parole struggenti composte per l’occasione.
Nel programma si inseriranno due cori, quello delle Voci Bianche dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, che canterà composizioni scritte nei gulag russi e il coro femminile Ilse Weber Choir che, come un coro greco, accompagnerà tutto il concerto eseguendo molti brani tra cui il Salmo scritto per la liberazione di Auschwitz, e, inedito in Italia, il Bolero di Ravel cantato a cappella, come avveniva nel campo di internamento giapponese di Palembag in Indonesia per la mancanza di strumenti musicali, grazie alla passione di due musiciste inglesi.
Un repertorio, quello di Libero è il mio canto, che copre il periodo fra il 1933 (apertura del KZ Dachau) e il 1953 (morte di Stalin) raccogliendo, interpretando, trascrivendo, digitalizzando musiche provenienti da ghetti, campi nazisti, gulag russi, campi italiani e giapponesi, Zigeunerblock per i rom. Un impressionante documento della sofferenza di esseri umani di diversa provenienza, religione, cultura, accomunati dal desiderio di creare ed esprimere bellezza anche nell’orrore e nella tragedia.

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Il cast

Voce solista: Cristina Zavalloni
Guest star: Aviva Bar-On
Voce narrante: Paola Pitagora

Lagerkapelle
Violino: Fabrizio Signorile
Clarinetto: Andrea Campanella
Chitarra: Leo Gallucci
Fisarmonica: Vince Abbracciante
Cimbalom: Marian Serban
Violoncello: Giuseppe Carabellese
Pianoforte: Francesco Lotoro
Coro Voci Bianche dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretto dal Maestro Ciro Visco
Ilse Weber Choir diretto dal Maestro Francesco Lotoro, preparatrice Anna Maria Stella Pansini

Regia: Angelo Bucarelli
Testi: Viviana Kasam
Relazioni Istituzionali: Marilena Citelli Francese
Direzione artistica, concertazione e arrangiamenti: Francesco Lotoro
Direzione dI produzione: Michelangelo Busco

Cristina Zavalloni

Aviva Bar-On

Paola Pitagora

Fabrizio Signorile

Andrea Campanella

Leonardo Gallucci

Vince Abbracciante

Marian Serban

Giuseppe Carabellese

Francesco Lotoro

Voci Bianche S. Cecilia

Ciro Visco

Ilse Weber Choir

Anna M. Stella Pansini

Angelo Bucarelli

Viviana Kasam

Marilena Francese

Michelangelo Busco

I testi delle canzoni

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Le compositrici

Bela Bogaty Lustman

Bela Bogaty nacque a Będzin (Slesia, Polonia) il 4 maggio 1927 da Moszek Bogaty e Sara Cwerin. Nel 1941 fu deportata presso Parschnitz, un subcampo di Gross-Rosen prevalentemente destinato all’internamento e lavoro coatto femminile: le sorveglianti erano guardie femminili inquadrate nelle SS. Il campo fu liberato il 9 maggio 1945 dalle truppe sovietiche.
Insieme alle compagne di prigionia Lena e Radassa (delle quali non conosciamo i cognomi) Bela creò il canto Pieśń rozpaczy, utilizzando l’unico giorno al mese di riposo dai lavori forzati e stendendo clandestinamente il testo su un foglio di carta. Colpita da tubercolosi riuscì comunque a sopravvivere. Dopo la Guerra emigrò in Italia (dove si unì in matrimonio con Josef Lustman, sopravvissuto a Mauthasen) e successivamente in Brasile.

Margaret Dryburgh

Il 15 febbraio 1942 il Giappone occupò Sumatra e altre isole delle Indie Orientali Olandesi (oggi Indonesia) catturando prevalentemente donne olandesi e britanniche e internandole a Palembang. Margaret Dryburgh (1890-1945), missionaria presbiteriana versata nella musica e autrice nel 1942 del The Captive’s Hymn per coro femminile, grazie alla sua prodigiosa memoria e alla collaborazione di Norah Hope Chambers, arrangiò per coro femminile brani di musica classica (tra cui Bach Mozart, Beethoven, Chopin, Dvořák, Ravel, Grieg), che venivano eseguiti da un’orchestra vocale di una trentina donne che, in mancanza di strumenti, li riproducevano intonando alcune sillabe convenzionali. I concerti iniziarono alla fine del 1943 e proseguirono sino ai primi mesi del 1945 allorquando gli estenuanti trasferimenti presso altri campi di Sumatra (Muntok, successivamente Loebok, Linggau e Balalau), la malnutrizione, le malattie tropicali e il crudele trattamento da parte dei giapponesi minarono le già precarie condizioni fisiche di Margaret Dryburgh (che morì nell’aprile 1945 a Bangka Island) e decimarono sia le prigioniere che il coro.

Norah Hope Chambers

Norah Hope nacque a Singapore il 26 aprile 1905. Laureata alla Royal Academy of Music di Londra, ha vissuto in Malesia per quasi 40 anni, prima con i suoi genitori e più tardi quando ha sposato John Chambers. Quando le truppe giapponesi invasero la Malesia, i coniugi Chambers ripararono la loro figlia di 5 anni in Gran Bretagna. Da Singapore riuscirono a imbarcarsi sulla nave di salvataggio Vyner Brooke che fu bombardata e affondata dall’aviazione giapponese. I Chambers furono internati in campi separati. Nei campi di prigionia di Sumatra e Bangka Island, Norah fraternizzò con Margaret Dryburg, con la quale arrangiò per coro femminile brani di musica classica (tra cui Bach, Mozart, Beethoven, Chopin, Dvořák, Ravel, Grieg), che venivano eseguiti da un’orchestra vocale di una trentina donne che, in mancanza di strumenti, li riproducevano intonando alcune sillabe convenzionali. Norah Hope Chambers, a differenza della Dryburgh, sopravvisse alla crudeltà dei Campi di internamento giapponesi, e si stabilì a Jersey (Channel Islands) dove morì il il 18 giugno 1989.

Rena Hass [Irene Shapiro]

Rena Hass (Irene Shapiro), nata il 6 settembre 1925 a Brzeżany (oggi Berezhany, Ucraina), fu trasferita nel 1941 con i genitori presso il ghetto di Białystok, dove il 16 agosto 1943 partecipò all’insurrezione; imprigionata con i suoi familiari a Lublin-Majdanek, nel novembre 1943 vide con i suoi occhi il padre violinista Adolf ucciso dopo essere stato costretto a suonare con l’orchestra del campo. Successivamente fu trasferita presso il campo di lavoro coatto di Bliżyn, e nel maggio 1944 ad Auschwitz II Birkenau dove partecipò all’insurrezione del 7 ottobre 1944; poi in novembre presso il campo di lavoro coatto femminile della Lippstädter Eisen und Metallwerke, nel sub-campo di Buchenwald. Sua madre Ernestyna, insegnante, fu trasferita nel gennaio 1945 a Bergen-Belsen ove morì di inedia poco prima della liberazione del Campo.
Nel marzo 1945, già malata di tifo, Rena fu sottoposta a una marcia della morte verso Bergen-Belsen. II 15 aprile 1945 fu liberata dalle truppe statunitensi presso Kaunitz, sub-campo di Buchenwald creato nel marzo 1945 per ospitare le lavoratrici coatte sopravvissute a Lippstadt.
Eppure, nonostante l’orrore vissuto, Rena dopo la liberazione intraprese studi di medicina a Heidelberg (Germania), conseguì un dottorato e nel maggio 1946 si imbarcò sulla Marine Perch ed emigrò negli Stati Uniti beneficiando di un visto collettivo concesso dal governo statunitense. Nel 1948 sposò Marvin Shapiro, e negli anni successivi divenne docente di biologia presso la Bronx High School of Science di New York, pubblicando importanti ricerche e anche il libro di memorie Revisiting the Shadows (Rivisitare le ombre). Morta nel 2007, rappresenta un luminoso esempio di resilienza, coraggio e forza d’animo.

Stanisława Lempart Gąskowa

Di Stanislawa Gaskowa (1926-2010) si sa molto poco: solo che era residente a Łódź prima della deportazione e che venne deportata ad Auschwitz dove scrisse una versione di Mamma son tanto felice, una delle canzoni più popolari all’epoca in tutta Europa. Il testo della canzone fu consegnato nel gennaio 1976 al musicista e ricercatore musicale polacco Aleksander Tytus Kulisiewicz (1918-1982), sopravvissuto a Sachsenhausen.

Johanna Lichtenberg “Gania” Spector

La musicista lettone Johanna Lichtenberg, nata il 23 Marzo 1915 a Libau/Liepāja (Lettonia), è un’artista e studiosa straordinaria che, sopravvissuta alla deportazione e ai maltrattamenti in diversi campi di concentramento, emigrò nel 1947 negli Stati Uniti. Qui, conseguito il dottorato in Lingua Ebraica al Union College e un master alla Columbia University, fondò e diresse il dipartimento di etnomusicologia dell’Università di Musica Ebraica del Seminario Teologico Ebraico d’America. Autrice di libri e di contributi in enciclopedie e riviste specializzate, fu produttrice di documentari sulle comunità ebraiche in tutto il mondo e collezionò oltre diecimila registrazioni di musica religiosa e popolare dalle comunità in India, Yemen, Azerbaijan, Egitto, Armenia così come del popolo samaritano, contribuendo alla conoscenza di un patrimonio musicale e culturale che senza di lei sarebbe andato perduto.
Scrisse la struggente canzone Traum (Sogno), mentre era internata nel ghetto di Riga, dove erano confluiti numerosi musicisti, scrittori e artisti da tutta la mitteleuropa, e dove ferveva l’attività teatrale e culturale in una sala adibita a spettacoli presso il settore Köln del ghetto.
Successivamente, Johanna fu deportata in diversi campi di concentramento, e perse tutta la sua famiglia d’origine e il marito Robert Spector. Ma la terribile esperienza di quegli anni la stimolò a dedicarsi a salvare dall’oblio la tradizione culturale e musicale ebraica fin nelle comunità più sperdute. Un modo per contrastare la Shoah della cultura e della musica messa in atto dai nazisti insieme allo sterminio di chi quei capolavori li aveva prodotti. È morta nel gennaio 2008.

Frida Misul

La cantante ebrea livornese Frida Misul (1919-1992) aveva sperato di salvarsi dalle persecuzioni utilizzando a partire dal 1940 il falso nome di Frida Masoni. Ma fu denunciata e nel maggio 1944, arrestata ad Ardenza (Livorno) e trasferita a Fossoli, e un anno dopo ad Auschwitz II Birkenau. Qui si ammalò di polmonite e nefrite e fu gravemente percossa perdendo quasi tutti i denti. Ciò nonostante riuscì a intrattenere con il suo canto compagne di prigionia, autorità tedesche e kapo. Creò altresì parodie tra le quali Qui in questa terra su una melodia di Samuel Cohen che sarà scelta come inno nazionale israeliano. Il canto veniva intonato clandestinamente nel campo dal gruppo femminile italiano (l’italiana Settimia Spizzichino, sopravvissuta ad Auschwitz e Bergen-Belsen, riporta la medesima parodia con parziali modifiche del testo): presso il settore femminile di Auschwitz-Birkenau il canto solistico o corale era la forma musicale più gettonata e coinvolgente e in tale arte primeggiavano le deportate greche e soprattutto quelle italiane.
Frida Misul fu trasferita il 16 novembre 1944 a Flossenbürg e nel maggio 1945 a Theresientadt, ove fu liberata il 9 maggio 1945, riuscendo ad arrivare a casa il giorno di Kippur, come si era augurata nel suo canto.

Camilla Mohaupt [Margot Bachner]

Tra i compiti della Mädchenorchester (orchestra femminile di Birkenau costituita nel 1943) rientrava l’accompagnamento musicale con marce e foxtrot dei deportati assegnati al lavoro coatto all’uscita e rientro dal cancello principale del lager, l’esibizione in concerti per prominenten, per infermi del Häftlingskrankenbau, per comuni deportati e per le cerimonie organizzate dalle SS; nonché in concerti domenicali per guardie tedesche e familiari delle SS talora alternandosi con l’orchestra maschile (quest’ultima prestava partiture alla Mädchenorchester che ne era carente). Entrambe le orchestre avevano il divieto assoluto di eseguire musica di compositori ebrei, polacchi e sovietici. Le musiciste sopravvissute componenti della Mädchenorchester Helena Dunicz-Niwinska (polacca, violinista) ed Esther Bejarano (ebrea tedesca, fisarmonicista) riportano che ufficiali SS, dopo le selezioni per la gasazione, si recavano presso il block della Mädchenorchester per ascoltare opere di Grieg, Schumann e Mozart e che l’orchestra era talora costretta a suonare presso la rampa ferroviaria di Birkenau all’arrivo dei trasporti ferroviari eseguendo musica popolare polacca, ceca o ungherese a seconda della nazionalità dei nuovi arrivati; i deportati, sorpresi quanto rincuorati da tale ingannevole farsa, salutavano dalle fessure del treno sventolando il fazzoletto.
Camilla Mohaupt (secondo altre fonti Camilla Spielbichler, ma il suo nome sarebbe in realtà Margot Bachner) fu trasferita ad Auschwitz II Birkenau, e successivamente a Bergen-Belsen; qui scrisse il lungo canto strofico Auschwitzlied sulla popolare melodia Wo die Nordseewellen trecken an der Strand.

Ludmila Kadlecova Peškařová

La didatta e compositrice morava Ludmila Kadlecova Peškařová (1890-1987), arrestata nel maggio 1943 dalla Gestapo e trasferita presso la prigione di Brno-Cejl nell’ottobre 1943 fu poi deportata a Ravensbrück. Suo marito, l’insegnante e violoncellista Jan Peškař, membro della resistenza ceca, era stato arrestato e ucciso il 14 giugno 1942 a Brno, in ritorsione per l’uccisione del governatore del Reichsprotektorat Böhmen und Mähren Heydrich durante l’operazione Anthropoid. L’anno successivo, Ludmila fu a sua volta arrestata dalla Gestapo per alto tradimento: aveva esposto due bandierine nere dietro la finestra della propria abitazione per commemorare l’anniversario della morte di suo marito. Separata dal figlio 14enne e trasferita presso la prigione di Brno-Cejl, nell’ottobre 1943 fu trasferita a Ravensbrück dove rimase fino alla liberazione.
Ravensbruck era il più grande dei campi di concentramento femminili nazisti, aperto il 15 maggio 1939 sulle rive del lago di Fürstenberg/Havel 90 chilometri a nord di Berlino. Vi furono deportate prigioniere politiche, comuniste, socialdemocratiche, ebree, bibelforscher (donne accusate di rapporti sessuali con persone private di cittadinanza e diritti costituzionali nel Reich), donne roma del Burgenland austriaco (entro il 1945 il numero delle donne roma trasferite a Ravensbrück arrivò a circa 5.000 unità), polacche e donne provenienti da altri territori occupati dell’Europa orientale, russe, francesi, italiane, donne classificate asociali, criminali comuni e, a partire dal 2 agosto 1944, donne evacuate dai lager aperti in Europa orientale, Varsavia e Auschwitz II Birkenau (dato l’avvicinamento delle truppe sovietiche). Nel 1942 l’azienda tedesca Siemens AG aprì una filiale presso il campo utilizzando la mano d’opera coatta del lager, che si espanse sino a dotarsi di 31 sub-campi e kommando. Si stima che tra il 1939 e il 1945 su 110.000 donne deportate a Ravensbrück circa 92.000 siano state vittime di terribili esperimenti medici, infortuni sul lavoro coatto, uccise per gasazione a Ravensbrück o trasferite presso campi di sterminio. Furono altresì eliminate persone di sesso femminile considerate inabili e improduttive: anziane, donne con problemi psicologici e donne incinte. Queste ultime furono obbligate all’aborto a scoperta gravidanza oppure selezionate per l’uccisione; successivamente fu permesso loro di portare a termine la gravidanza ma i neonati venivano subito strangolati o annegati. Il 26 aprile1945 iniziò l’evacuazione di Ravensbrück, che culminò con la liberazione del campo da parte dalle truppe sovietiche il 30 aprile1945.
A Ravensbrück furono allestiti clandestinamente cicli di insegnamento scolastico presso tutti i gruppi nazionali (le deportate polacche organizzarono altresì lezioni universitarie), attività musicali ed esecuzione di brani vocali e corali; un vasto apporto alla letteratura musicale concentrazionaria proviene da compositrici professioniste o musiciste deportate a Ravensbrück, prevalentemente donne di solida preparazione musicale o cantanti amatoriali, autrici di lieder e brani per coro femminile con una predilezione specifica per ninna-nanne dedicate ai propri figli, o canti dedicati alla propria città e regione di origine, o parodie su melodie popolari tradizionali. Le loro opere denotano una particolare cura del testo e sono accomunati da un gusto musicale tipico del linguaggio musicale mitteleuropeo della prima metà del ’900.
A Ravensbrück Ludmila Peškařová scrisse clandestinamente oltre un centinaio tra lieder, brani corali e poemi per la maggior parte di ispirazione patriottica, religiosa ma anche dedicati alla sua terra morava; senza disdegnare canzoncine per le festività natalizie del 1944 e anche il riadattamento di pezzi musicali famosi, con testi creati ad hoc.
Liberata nell’aprile 1945, nell’estate del medesimo anno la Peškařová stese in partitura il materiale musicale scritto in cattività talora aggiungendo un accompagnamento pianistico.

Leah Rudnitski

Leah Rudnitski (1916-1943) è una letterata e attivista politica di grande spessore intellettuale e di grande coraggio. Nata nel 1916 a Kalwarija (Lituania), nel 1939 si trasferì a Vilnius, dove partecipò alla ricca attività letteraria locale in lingua yiddish. Insegnante, poetessa e giornalista, nel 1940 entrò a far parte dello staff editoriale della rivista yiddish Vilna Emes. Scrisse poesie, canzoni e fu un membro attivo del circolo letterario e artistico del ghetto dopo l’invasione tedesca nel 1941. Coinvolta nella resistenza partigiana, partecipò a operazioni di sabotaggio. Arrestata dalla Gestapo insieme al compositore e partigiano Hirsh Glik, nell’autunno 1943 fu trasferita a Treblinka dove fu uccisa.

Ilse Weber

Pur nel suo tragico epilogo, la storia della scrittrice, poetessa e musicista ebrea morava Ilse Weber (1903-1944) è tra le più emozionanti e avvincenti dell’immenso patrimonio biografico di uomini e donne che hanno creato musica in cattività durante la Seconda Guerra Mondiale. Nata l’11 gennaio 1903 a Witkowitz (oggi Vítkovice v Krkonoších, Repubblica Ceca), virtuosa in numerosi strumenti musicali nonché autrice di canzoni e opere teatrali per l’infanzia, nel 1930 Ilse (il suo cognome da nubile era Herlinger) sposò Vilém Weber e si trasferì con lui a Praga. Nel 1939, durante i giorni dell’invasione tedesca di Boemia e Moravia, i coniugi Weber misero in salvo il loro figlio maggiore Hanuš trasferendolo in Gran Bretagna. Nel febbraio 1942 Ilse, suo marito e il figlio minore Tomáš (detto Tommy) furono deportati a Theresienstadt; ivi Ilse lavorò come infermiera addetta alla sorveglianza infantile, scrisse circa 60 testi poetici, alcuni dei quali messi in musica con accompagnamento musicale. Ai primi di ottobre 1944 scelse volontariamente di seguire suo marito ad Auschwitz-Birkenau con il figlio Tommy; il 6 ottobre Ilse e Tommy furono mandati a gasazione con altri ragazzi provenienti da Theresienstadt. Prima del trasferimento ad Auschwitz-Birkenau Vilém nascose i componimenti poetici e musicali di sua moglie nel maneggio di Theresienstadt; sopravvissuto, dopo la liberazione tornò a Theresienstadt travestito da ufficiale dell’esercito cecoslovacco e recuperò il materiale di Ilse.

Zinaida [Zina]

Cittadina sovietica, di Zinaida si conosce soltanto il suo nome e che fu deportata presso il campo femminile di Ravensbrück ove scrisse Ravensbrücklied sulla melodia di un canto popolare russo dell’epoca degli Zar. L’autrice non sopravvisse. Il canto era considerato una sorta di inno alla forza d’animo e speranza delle donne di Ravensbrück ed è pervenuto in lingua tedesca e russa grazie a una registrazione fonografica di Jefrosinia Tkačova e Nadja Kalnitzkaja, anche loro deportate a Ravensbrück e sopravvissute.

Popolo romanò

Il Terzo Reich avviò nei confronti del popolo romanò (comunemente definito roma, o gypsies in inglese, cigány per gli ungheresi, zigeuner in tedesco), una politica fortemente discriminatoria, mediante persecuzioni e deportazioni. I primi roma arrivarono ad Auschwitz nel 1941; da fine febbraio 1943 numerose famiglie roma furono alloggiate presso lo Zigeunerlager in Auschwitz-Birkenau. Numerosi roma di Amburgo, Cecoslovacchia e Polonia furono deportati a Belzéc e alloggiati presso una tenuta agricola nel campo; il governatore di Lublino Ernst Zörner dispose che Belzéc divenisse il principale lager dei roma. Da Belzéc circa 1.000 roma furono trasferiti presso il campo di lavori forzati di Krychow (Sobibór) e infine a Treblinka. Altri roma furono deportati dai collaborazionisti croati presso Jasenovac. Si calcola che circa 500.000 roma (prevalentemente appartenenti al gruppo sinti) morirono nei campi del Terzo Reich; il genocidio del popolo romanò è chiamato in lingua romanes samudaripen oppure rorrajmos.
Nella tradizione del popolo romanò la musica è principalmente un esercizio collettivo. Ciò vale anche per le donne, che nei Ghetti e nei Lager si trovarono spesso a collaborare anche con musiciste ebree. Nelle composizioni scritte da donne il tema della maternità è coniugato sotto molti aspetti: ninne-nanne e filastrocche, amore e sofferenza per i figli ma anche rapporto e nostalgia per la propria madre. Non ne sono esenti neanche le donne del popolo romanò ed è un aspetto della loro cultura che esula da quello che è il comune immaginario collettivo. Rispetto alle canzoni delle musiciste ebree, quelle dei roma hanno testi molto semplici: per loro contava l’esecuzione, la musica, l’improvvisazione che faceva di ogni canzone uno spettacolo emozionante.
L’opera di ricostruzione del repertorio concentrazionario del popolo romanò è stato compiuto sulle fonti musicologiche ed editoriali di Jana Belišová, Ursula Hemetek e Mozes Heinschink nonché sugli importanti contributi fonografici di Paula Nardai, Ceija Stojka, Růžena Danielová, Helena Červeňaková, Jarmila Kotlárová e altri.

Rassegna Stampa

Il 16 gennaio all’Auditorium di Roma “Libero è il mio canto”

Il Messaggero, 7 dicembre 2018 di Francesca Nunberg Leggi l’articolo completo

Controvento – Musica nel lager

Moked del 3 dicembre 2018 di Viviana Kasam Leggi l’articolo completo

Libero è il mio canto su Sipario

Sipario, 30 novembre 2018 Leggi l’articolo completo

Memoria, il canto delle donne

Moked, 6 dicembre 2018 Leggi l’articolo completo  

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Hanno collaborato all’organizzazione
Elisa Bortoluzzi Dubach, Claudio Carulli, Leonora La Rocca, Daniela Marianelli, Alessandro Pavanati, Francesca Pollio, Chiara Tinonin
Per le traduzioni: Susan Ann White (Scriptum), Olga Nikolaevna Dudko, Moni Ovadia, Andreas Pieralli

Per la foto di Cristina Zavalloni: Barbara Rigon

Si ringraziano le artiste Michal Rovner e Shirin Neshat per i diritti di riproduzione delle loro opere

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