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1.
Była sobie raz Elżunia  –  C’era una volta Elzunia
Testo di Anonimo
Melodia sul canto tradizionale polacco Na Wojtusia z popielnika Iskiereczka mruga
Lublin-Majdanek, 1943?

voce femminile, pianoforte
Fonte: USHMM – Aleksander Kulisiewicz Collection, Washington DC

In questa breve, struggente strofa c’è il senso di estraniamento di una ragazzina che si ritrova sola al mondo.
Furono centinaia di migliaia gli orfani strappati alle loro famiglie nei Campi di sterminio ma anche in quelli di lavoro, dove gli adulti morivano per fame, fatica, pessime condizioni igieniche o crudeltà delle guardie.
Teresa Chwiejczak di Wrocław ricostruì il testo su un canto tradizionale polacco e ne stese memoria il cantante e compositore polacco Aleksander Tytus Kulisiewicz (1918-1982), sopravvissuto a Sachsenhausen e pioniere della ricerca musicale concentrazionaria.

Była sobie raz Elżunia, pozo stała sama
bo jej tatuś na Majdanku, w Oświęcimiu mama

C’era una volta Elzunia, è rimasta sola
perché suo padre è a Majdanek
ad Auschwitz c’è la mamma.

Adottata
da Tova e Sami Sagol
da Ester Fadlun e famiglia, per la pace nel mondo

2.
Ravensbrücklied  –  Il canto di Ravensbrück
Testo di Zinaida [Zina] (?-?)
Melodia su un canto popolare russo
Ravensbrück 1942-1943

voce femminile, pianoforte
Fonte: Constanze Jaiser & Jacob David Pampuch, Europa im Kampf 1939-44. Internationale Poesie aus dem Frauen-Konzentrationslager Ravensbrück. Metropol Verlag 2005

Cittadina sovietica, di Zinaida si conosce soltanto il suo nome e che fu deportata presso il Campo femminile di Ravensbrück ove scrisse Ravensbrücklied sulla melodia di un canto popolare russo dell’epoca degli Zar. L’autrice non sopravvisse. Il canto era considerato una sorta di inno alla forza d’animo e speranza delle donne di Ravensbrück ed è pervenuto in lingua tedesca e russa grazie a una registrazione fonografica di Jefrosinia Tkačova e Nadja Kalnitzkaja, anche loro deportate a Ravensbrück e sopravvissute.

Ja zhila bliz’ bol’shogo Berlina,
ostrovok okruziennij vodoj.
Tam lezhit nebol’shaja ravnina,
tam konzlagher’ silet trostjanoj.
Tridzat’–dva derevjannih baraka,
kuhnja bunker reviribi trip.
Hodjat devushki nashi bez jakov,
hot’ i mart ved’ holodnij stoit.
Na dvore esce’ noc nas podnimajut,
piom pol–litra gorjacei vodi.
A zatem na apil’ vigonjajut,
po pjatierkam v polosku stoim.
Apil’ utrennij, apil’ vecernij,
po pjatierkam v polosku stoim.
Budet den’ etot muk polnij mucenij,
a v dusce gorie muku taim.
Nicego, doroghije podrughi,
visce golosi, pojte smelej.
Priletjat k nam zhelannije ptizi,
priletit dorogoj solovej.
On otkroet nam dver’ i zabramu,
skinet platie v polosku s plecej.
I uvidim mi rodinu mamu,
cto sotriot nasci sliosi s ocej.

Vivevo nei pressi della grande Berlino
in un luogo circondato dai fiumi.
Là si trova una piccola pianura
là nel Lager si massacrano persone.
Baracche di legno, trentadue –
la cucina, il bunker, l’ufficio.
Vanno le nostre ragazze scalze
ci fanno uscire anche di notte
Da bere – mezzo litro d’acqua calda
e poi ci mandano all’appello.
Stiamo ferme in righe di cinque
L’appello la mattina, l’appello la sera
Di giorno spossate, siamo piene di sofferenza,
l’anima si consuma dal dolore.
Ma ora, amiche mie care,
alzate le voci, cantate più forte!
Volano verso di noi uccelli di metallo
Vola verso di noi l’usignolo caro
Ci spalancherà la porta, il portone.
Ci toglierà dalle spalle l’abito a righe
e rivedremo la nostra mamma cara
ci asciugherà le lacrime dagli occhi.

Adottata
da Roland, Nora, Anaïs e Elise Stern

3.
Largo z IX. Symfonie “z Nového světa”  –  Largo dalla Sinfonia n. 9 “Dal Nuovo Mondo”
Testo e arrangiamento di Ludmila Kadlecova Peškařová (1890-1987)
Melodia su Largo dalla Sinfonia n. 9 di Antonín Dvořák
Ravensbrück 1945
coro femminile
Fonte: Akademie der Künst, Berlin
Ravensbruck era il più grande dei campi di concentramento femminili nazisti, aperto il 15 maggio 1939 sulle rive del lago di Fürstenberg/Havel 90 chilometri a nord di Berlino. Vi furono deportate prigioniere politiche, comuniste, socialdemocratiche, ebree, bibelforscher (donne accusate di rapporti sessuali con persone private di cittadinanza e diritti costituzionali nel Reich), donne roma del Burgenland austriaco (entro il 1945 il numero delle donne roma trasferite a Ravensbrück arrivò a circa 5.000 unità), polacche e donne provenienti da altri territori occupati dell’Europa orientale, russe, francesi, italiane, donne classificate asociali, criminali comuni e a partire dal 2 agosto 1944 donne evacuate dai lager aperti in Europa orientale, Varsavia e Auschwitz II Birkenau (dato l’avvicinamento delle truppe sovietiche). Nel 1942 l’azienda tedesca Siemens AG aprì una filiale presso il campo utilizzando la mano d’opera coatta del lager, che si espanse sino a dotarsi di 31 sub-campi e kommando. Si stima che tra il 1939 e il 1945 su 110.000 donne deportate a Ravensbrück circa 92.000 siano state vittime di terribili esperimenti medici, infortuni sul lavoro coatto, uccise per gasazione a Ravensbrück o trasferite presso campi di sterminio. Furono altresì eliminate persone di sesso femminile considerate inabili e improduttive: anziane, donne con problemi psicologici e donne incinte. Queste ultime furono obbligate all’aborto a scoperta gravidanza oppure selezionate per l’uccisione; successivamente fu permesso loro di portare a termine la gravidanza ma i neonati venivano subito strangolati o annegati. Il 26 aprile 1945 iniziò l’evacuazione di Ravensbrück, che culminò con la liberazione del campo da parte dalle truppe sovietiche il 30 aprile 1945.
A Ravensbrück furono allestiti clandestinamente cicli di insegnamento scolastico presso tutti i gruppi nazionali (le deportate polacche organizzarono altresì lezioni universitarie) e attività musicali ed esecuzione di brani vocali e corali; un vasto apporto alla letteratura musicale concentrazionaria proviene da compositrici professioniste o musiciste deportate a Ravensbrück, prevalentemente donne di solida preparazione musicale o cantanti amatoriali, autrici di lieder e brani per coro femminile con una predilezione specifica per ninna-nanne dedicate ai propri figli, o canti dedicati alla propria città e regione di origine, o parodie su melodie popolari tradizionali. Le loro opere denotano una particolare cura del testo e sono accomunati da un gusto musicale tipico del linguaggio musicale mitteleuropeo della prima metà del ’900.
La didatta e compositrice morava Ludmila Kadlecova Peškařová, arrestata nel maggio 1943 dalla Gestapo e trasferita presso la prigione di Brno-Cejl nell’ottobre 1943 fu poi deportata a Ravensbrück; qui scrisse clandestinamente oltre un centinaio tra lieder, brani corali e poemi per la maggior parte di ispirazione patriottica, religiosa ma anche dedicati alla sua terra morava; senza disdegnare canzoncine per le festività natalizie del 1944 e anche il riadattamento di pezzi musicali famosi, con testi creati ad hoc. Tra questi, il Largo z IX. Symfonie “z Nového světa” (sul Largo della Symfonie “Z nového světa” di Antonín Dvořák), dove già si intuisce la speranza nella fine del conflitto.
Liberata nell’aprile 1945, nell’estate del medesimo anno la Peškařová stese in partitura il materiale musicale scritto in cattività talora aggiungendo un accompagnamento pianistico.

Ravensbrück, Ravensbrück, vlasti vzdálený,
koncentrak pro ženy tak obávaný!
Když nás sem přivezli v nesmírném hoři,
aspoň jsme toužily po blízkém moři.
Pro domov ztracené, skoro nezvěstné,
útěchou bývánám Largo pověstně.
Tady ne slyšíte ptáčků jasný hlas,
jenom psů a vran křik rozrušuje nás.
Co se zde jen nasoužíme,
po domovĕ nasoužíme,
po domovĕ toužíme! Brzo prý přestane strašné války vír,
pak snad již nastane vytoužený mír.

Ravensbrück, Ravensbrück, lontana dalla patria,
così temuto campo di concentramento femminile!
Quando ci hanno portato su questa enorme montagna
speravamo almeno di essere vicine al mare.
Pensando alla casa perduta, a tutto ciò che è scomparso,
ci dà consolazione il celebre Largo.
Qui non sentirete il canto brillante degli uccellini,
soltanto ululati di cani e gracchiare di corvi ci spaventano.
Quante cose bramiamo qui,
quanto desiderio di casa, vogliamo tornare a casa!
Dicono che presto cesserà il grande vortice della guerra,
speriamo allora che arrivi la pace tanto agognata.

Adozione anonima
in memoria di Luisella Ottolenghi Mortara

4.
Auschwitzlied  –  Il canto di Auschwitz
Testo di Camilla Mohaupt [Margot Bachner] (?-1945?)
Melodia su Wo die Nordseewellen trecken an der Strand
Bergen-Belsen 1945
voce femminile, Lagerkapelle
Fonte: Akademie der Künst, Berlin

Tra i compiti della Mädchenorchester (orchestra femminile di Birkenau costituita nel 1943) rientrava l’accompagnamento musicale con marce e foxtrot dei deportati assegnati al lavoro coatto all’uscita e rientro dal cancello principale del lager, l’esibizione in concerti per prominenten, per infermi del Häftlingskrankenbau, per comuni deportati e per le cerimonie organizzate dalle SS; nonché in concerti domenicali per guardie tedesche e familiari delle SS talora alternandosi con l’orchestra maschile (quest’ultima prestava partiture alla Mädchenorchester che ne era carente). Entrambe le orchestre avevano il divieto assoluto di eseguire musica di compositori ebrei, polacchi e sovietici: la violinista polacca Helena Dunicz-Niwinska, membro della Mädchenorchester (sopravvissuta), riporta che ufficiali SS, dopo le selezioni per la gasazione, si recavano presso il block della Mädchenorchester per ascoltare opere di Grieg, Schumann e Mozart. La fisarmonicista ebrea tedesca Esther Bejarano, membro della Mädchenorchester (sopravvissuta), riporta che l’orchestra era talora costretta a suonare presso la rampa ferroviaria di Birkenau all’arrivo dei trasporti ferroviari eseguendo musica popolare polacca, ceca o ungherese a seconda della nazionalità dei nuovi arrivati; i deportati, sorpresi quanto rincuorati da tale ingannevole farsa, salutavano dalle fessure del treno sventolando il fazzoletto.
Camilla Mohaupt (secondo altre fonti Camilla Spielbichler, ma il suo nome sarebbe in realtà Margot Bachner) fu trasferita ad Auschwitz II Birkenau, e successivamente a Bergen-Belsen; qui scrisse il lungo canto strofico Auschwitzlied sulla popolare melodia Wo die Nordseewellen trecken an der Strand.

Zwischen Weichsel und der schön verstaut
zwischen Sümpfen, Postenketten, Drahtverhau
liegt das KZ Auschwitz, das verfluchte Nest
das der Häftling haßet wie die böse Pest.
Wo Malaria, Typhus und auch anderes ist
wo die große Seelennot am Herzen frißt
wo so viele Tausend hier gefangen sind
fern von ihrer Heimat, fern von Weib und Kind.
Häuserreihen siehst erbaut von Häftlingshand
bei Sturm und Regen mußt du tragen Ziegel, Sand.
Block um Block entsteht für viele tausend Mann
alles ist für diese die noch kommen dran.
Müde ziehn die Reihen nun an dir vorbei
schallend hörst Befehle du wie: eins, zwei, drei.
Hier etwas zu sagen, hast du gar kein Recht
wenn dein Mund auch gem um Hilfe schreien möcht’.
Vater, Mutter, ob ihr noch zu Hause seid?
Niemand weiß von unserem großen Herzeleid.
Träumen darfst du hier nur von deinem Elternhaus
aus dem das Schicksal jagte dich so schnöd heraus.
Sollte ich dich, Heimat, nicht mehr wiedersehn
und wie so viele Tausend durch den Schornstein gehen.
seid gegrüßt, ihr Lieben, am unbekannten Ort,
gedenket manchmal meiner, die ich mußte fort.

Fra la Vistola e la Soła
Paludi, i posti di guardia, il filo spinato
ecco il lager di Auschwitz, il nido dannato
che il prigioniero odia come solo la peste si può odiare.
Malaria, tifo e ogni malattia
E la tristezza infinita ti divora il cuore
E innumerevoli migliaia sono qui prigionieri
lontano da casa, dalla moglie e i bambini
Guarda, ci sono file di case costruite dai prigionieri con le loro mani
sotto la pioggia, sotto la tempesta dovrai portare sabbia e mattoni
Si erige un blocco dopo l’altro per molte migliaia di uomini
per quelli che dovranno ancora arrivare.
Scorrono esauste le colonne
senti urlare comandi: Eins, Zwei, Drei!
Ma di parlare tu qui non hai diritto
anche se la tua bocca vuole gridare aiuto.
Padre, madre, siete ancora a casa?
Nessuno sa del nostro grande dolore.
La casa dei tuoi genitori qui la puoi solo sognare.
Il destino ce ne ha scacciate in modo così infame.
Il mio paese, lo rivedrò forse di nuovo?
e quante migliaia passano attraverso il camino.
Vi saluto, miei cari, in un luogo sconosciuto,
Ricordatevi di me, che sono dovuta partire.

Adottata
da Philippe e Catarina Amon
da Gariwo-La foresta dei Giusti, in omaggio a Simone Weil

5.
Merav pal e parochňa  –  Morirò per l’onta del taglio dei capelli
Popolo romanò, Roma slovacchi
Zigeunerlager Auschwitz-Birkenau 194?

voce femminile, coro femminile, Lagerkapelle
Fonti: Jana Belišová, Helena Červeňaková

Il Terzo Reich avviò nei confronti del popolo romanò (comunemente definito roma, o gypsies in inglese, cigány per gli ungheresi, zigeuner in tedesco), una politica fortemente discriminatoria, mediante persecuzioni e deportazioni. I primi roma arrivarono ad Auschwitz nel 1941; da fine febbraio 1943 numerose famiglie roma furono alloggiate presso lo Zigeunerlager in Auschwitz–Birkenau. Numerosi roma di Amburgo, Cecoslovacchia e Polonia furono deportati a Belzéc e alloggiati presso una tenuta agricola nel campo; il governatore di Lublino Ernst Zörner dispose che Belzéc divenisse il principale lager dei roma. Da Belzéc circa 1.000 roma furono trasferiti presso il campo di lavori forzati di Krychow (Sobibór) e infine a Treblinka. Altri roma furono deportati dai collaborazionisti croati presso Jasenovac.
Si calcola che circa 500.000 roma (prevalentemente appartenenti al gruppo sinti) morirono nei campi del Terzo Reich; il genocidio del popolo romanò è chiamato in lingua romanes samudaripen oppure rorrajmos.
Nella tradizione del popolo romanò la musica è principalmente un esercizio collettivo. Ciò vale anche per le donne, che nei Ghetti e nei Lager si trovarono spesso a collaborare anche con musiciste ebree.
Questa canzone racconta in modo non convenzionale la sofferenza delle donne rom, che erano considerate molto attraenti e spesso destinate dalle autorità militari ai bordelli dei lager. Per questo non venivamo rapate a zero come le donne ebree ma erano comunque sottoposte a un drastico taglio delle chiome che, nella loro cultura, costituisce una gravissima onta.
L’opera di ricostruzione del repertorio concentrazionario del popolo romanò è stato compiuto sulle fonti musicologiche ed editoriali di Jana Belišová, Ursula Hemetek e Mozes Heinschink nonché sugli importanti contributi fonografici di Paula Nardai, Ceija Stojka, Růžena Danielová, Helena Červeňaková, Jarmila Kotlárová e altri.

Merav pal e parochňa, miro šero strihinena.
Ma strihinen miro šero, plašinen man pro taboris.
Joj Devlale so kerava, de kaj mro šero, joj, thovava?
Thovav me le šerandeske, mre čhavore pašal mande.

Morirò per l’onta del taglio dei capelli,
me li taglieranno tutti.
Non tagliatemi i capelli.
Mi costringono ad andare al campo.
Oh Signore, cosa farò,
dove poserò la testa?
La adagerò su un cuscino,
con i miei figli stretti a me.

Adottata
da Franca Speranza Cosulich
da Joelle Afflalo
da Nina zu Fürstenberg

6.
Ya pomnyu tot Vaninskiy port  –  Mi ricordo il porto di Vanina
Melodia e testo di Anonimo
Gulag di Kolyma 1946-1947
voce femminile, Lagerkapelle
Fonte: Elena Makarova, Haifa. Gulag History State Museum, Mosca. Website Canzoni contro la Guerra

Questa canzone appartiene al repertorio poco noto della musica scritta nei gulag sovietici.
Il porto di Vanino, completato nel giugno 1945 presso la costa pacifica della Russia, era un porto di transito per prigionieri successivamente reimbarcati in direzione di Magadan (distretto di Dalstroï, mare di Okhotsk) e infine via terra lungo la famigerata “via delle ossa” sino alla regione siberiana settentrionale della Kolyma. Ivi i prigionieri erano prevalentemente adibiti all’estrazione di oro presso le 70 miniere aurifere della regione. Il gulag della Kolyma si distinse per l’alto tasso di mortalità dei prigionieri a causa di ritmi sovrumani di lavoro, denutrizione, fucilazioni di massa, bassissime temperature (nella regione di Kolyma oscillano tra i 60 e i 70 gradi sotto lo zero) e particolare crudeltà degli addetti alla sorveglianza. Nel 1941 la Kolyma arrivò a ospitare oltre un milione di prigionieri. Nel gulag si svolse una discreta attività musicale sia corale che bandistica.
Ya pomnyu tot Vaninskiy port è conosciuto in lingua russa semplicemente con il titolo Vaninskiy port. Divenuto popolare dopo la caduta del regime sovietico, il canto è considerato una sorta di inno dei prigionieri del gulag della Kolyma. Fu composto tra il 1946 e il 1947 (in base alle testimonianze di prigionieri sopravvissuti) e, sebbene ci siano stati diversi tentativi di attribuzione del canto esso è molto probabilmente frutto del lavoro collettivo delle prigioniere del gulag.

Ya pomnyu tot Vaninskiy port
I vid parokhoda ugryumyy.
Kak shli my po trapu na bort,
V kholodnyye, mrachnyye tryumy.
Ot kachki stradali zeka,
Revela puchina morskaya;
Lezhal vperedi Magadan –
Stolitsa Kolymskogo kraya.
Pyat’sot kilometrov tayga,
Gde net ni zhil’ya, ni seleniy.
Mashiny ne khodyat tuda –
Bredut, spotykayas’, oleni.
Ya znayu, menya ty ne zhdosh’
I pisem moikh ne chitayesh’.
Vstrechat’ ty menya ne pridosh’,
A yesli pridosh’ – ne uznayesh’.
Proshchayte, i mat’, i zhena,
I vy, maloletniye deti.
Znat’, gor’kuyu chashu do dna
Prishlosya mne vypit’ na svete.
Bud’ proklyata ty, Kolyma,
Chto nazvana Chornoy Planetoy.
Soydosh’ ponevole s uma –
Ottuda vozvrata uzh netu.

Mi ricordo il porto di Vanina
e la vista del tetro battello.
Come salivamo a bordo sulla passerella,
nei sinistri angoli freddi della stiva,
gemevano gli internati,
allacciati come parenti, come fratelli.
Sulla nostra strada si ergeva Magadan
Capitale del Paese di Kalyma.
Cinquecento chilometri di taiga,
gli uomini vacillano come ombre.
Le automobili qui non arrivano
Solo i cervi si avvicinano zoppicando.
So che non mi aspetti
e non leggi le mie lettere.
Non verrai ad accogliermi
Tanto incontrandomi non mi riconosceresti.
Addio madre e sposa
e voi bambini miei
Sappiate che su questa lettera ho dovuto bere
L’amaro calice fino all’orlo.
Maledetta sia Kalyma
che chiamano il bel pianeta,
dove si diventa pazzi nonostante se stessi
e non c’è via di ritorno.

Adozione anonima
in memoria di Luisella Ottolenghi Mortara

7.
Pieśń rozpaczy  –  Canto di disperazione
Bela Bogaty Lustman (1927)
KZ Parschnitz 1943-1944
voce femminile, pianoforte
Fonte: Bela Lustman, Rio de Janeiro

Bela Bogaty nacque a Będzin (Slesia, Polonia) il 4 maggio 1927 da Moszek Bogaty e Sara Cwerin. Nel 1941 fu deportata presso Parschnitz, un subcampo di Gross–Rosen prevalentemente destinato all’internamento e lavoro coatto femminile: le sorveglianti erano guardie femminili inquadrate nelle SS. Il campo fu liberato il 9 maggio 1945 dalle truppe sovietiche.
Insieme alle compagne di prigionia Lena e Radassa (cognomi non pervenuti) Bela creò il canto Pieśń rozpaczy, utilizzando l’unico giorno al mese di riposo dai lavori forzati e stendendo clandestinamente il testo su un foglio di carta. Colpita da tubercolosi riuscì comunque a sopravvivere. Dopo la Guerra emigrò in Italia (dove si unì in matrimonio con Josef Lustman, sopravvissuto a Mauthasen) e successivamente in Brasile.
Pieśń rozpaczy è stata ricostruita da Francesco Lotoro e registrata nel 2015 presso la Sala Cecilia Meirelles di Rio de Janeiro nell’ambito delle riprese del documentario Maestro del regista franco-argentino Alexandre Valenti.

W tym przeklętym szarym domie
W którym śpią na deskach i na słomie
Gdzie żywot wiodą marny,
Tak wygląda obóz karny,
Często bite i kopane,
Nienawiścią obrzucane,
Oczy zamglone i niewinne,
ciało mimo wszystko silne.
Bo to jest pieśń żydówki,
Z której pozostał tylko cień,
Blada z ciągłej harówki,
Która zjada ją co dzień.
Bo to jest pieśń rozpaczy,
Żydowskich bólów i mąk,
Kto wie czy jeszcze zobaczy,
Matczynych czułych rąk.
Burza nad światem wciąż szaleje,
Wicher pośród fal wieje.
Silne echo się unosi,
I o krwawej zemście głosi.
Morderstwa na nas dokonane,
Będą wiecznie pamiętane,
I choć dni są policzone,
krzywdy muszą być pomszczone.

In questa grigia e disgraziata casa
dove si dorme su tavole di legno e poca paglia.
Qui la vita non ha valore
Questo è un campo di concentramento
Sempre pestate con botte e calci, senza futuro..
corpi innocenti e occhi quasi chiusi
Ma il corpo, nonostante tutto, si sforza di sopravvivere..
Questa è la canzone dell’ebrea di cui è rimasta soltanto l’ombra
in condizioni terribili tutti i giorni
Questa è la canzone degli orrori e dei dolori degli ebrei
Chissà se ancora sentirò le care braccia e le soavi mani materne?
La tormenta nel mondo continua a terrorizzare
Il vento tra le onde muggisce
Si sente un forte eco
Che proclama la sanguinaria vendetta
Gli assassini perpetrati saranno ricordati per sempre
Anche con il passare del tempo, che non conta,
le azioni malefiche devono essere vendicate.
Perché questa è la canzone dell’ebrea di cui è rimasta soltanto l’ombra,
Pallida per il lavoro da schiava che ci consuma ogni giorno
Questa è la canzone degli orrori e dei dolori degli ebrei.
Chissà se ancora sentirò le care braccia e le soavi mani materne?

Adottata
da Graziella Loreto

8.
Wiegala  –  Ninna nanna
Ilse Herlinger Weber (1903-1944)
Theresienstadt 1943–1944
voce femminile, coro femminile, Lagerkapelle
Fonte: Joza Karas, Bloomberg. Bote & Bock, Berlin

Ilse Weber ha 39 anni quando nel 1942 viene deportata nel campo di Theresienstadt, assieme al marito Willi e al figlio più piccolo Tomas. E’ un’autrice ceca affermata di storie per l’infanzia: quando arriva al campo, chiede di essere impiegata nel reparto dell’infermeria dove curano i bambini. Durante la prigionia Ilse scrive sessanta poesie, testi di canzoni e filastrocche per intrattenere i suoi piccoli pazienti. Poi arriva anche per loro il treno che li porta ad Auschwitz.
“È vero che possiamo fare la doccia dopo il viaggio?”. È la domanda che Ilse arrivando a Auschwitz pone a un detenuto che l’aveva riconosciuta. L’uomo non se la sente di mentire e risponde: ”No, queste non sono docce, sono camera a gas. Ti do un consiglio. Entraci cantando con i bambini, ma più in fretta che puoi. Siediti con loro per terra e continuate a cantare. Canta con loro come hai fatto tante volte. Così inalerete il gas più velocemente, altrimenti morirete schiacciati dagli altri quando scoppierà il panico”.
Ilse sul quel treno c’era salita volontariamente, per non lasciare soli i “suoi” bambini. Adesso non ha altra scelta che far intonare loro Wiegala la ninna nanna che tante volte avevano cantato insieme,
Ilse e i suoi bambini muoiono il 6 ottobre 1944.
Il marito Willi, nel tentativo di salvare almeno le opere della moglie,le aveva sotterrate accanto al capanno degli attrezzi nella speranza che qualcuno possa un giorno trovarle.
Quello che non si aspettava, era di essere lui stesso a sopravvivere allOolocausto e a recuperare le opere scritte della sua Ilse.

Wiegala, wiegala, weier,
der Wind spielt auf der Leier.
Er spielt so süß im grünen Ried,
die Nachtigall, die singt ihr Lied.
Wiegala, wiegala, werne,
der Mond ist die Laterne,
er steht am dunklen Himmelszelt
und schaut hernieder auf die Welt.
Wiegala, wiegala, wille,
wie ist die Welt so stille.
Es stört kein Laut die süße Ruh,
schlaf, mein Kindchen, schlaf auch du.

Fai ninna, fai nanna, mio bimbo, lo sento
risuona la lira al soffiare del vento,
nel verde canneto risponde l’assolo
del canto dolce dell’usignuolo.
Fai ninna, fai nanna, mio bimbo, lo sento
risuona la lira al soffio del vento.
Fai ninna, fai nanna, gioia materna,
la luna è come una grande lanterna,
Sospesa in alto nel cielo profondo
volge il suo sguardo dovunque nel mondo.
Fai ninna, fai nanna, gioia materna,
la luna è come una grande lanterna.
Fai ninna, fai nanna, sereno riposa
dovunque la notte si fa silenziosa!
Tutto è quieto, non c’è più rumore,
mio dolce bambino, per farti dormire.
Fai ninna, fai nanna, sereno riposa
dovunque la notte si fa silenziosa!

Adottata
da Antonella Camerana
da Lydia
da Angiola Bianchi Bassani, in ricordo di Alessandro e Iri Bassani

9.
Když jsem ležel v Terezíně  –  Quando giacevo a Terezin
Ilse Herlinger Weber (1903-1944)
Melodia e testo ricostruiti da Aviva Bar-On, Kiriat Ono (Israele)
Theresienstadt 1944?

voce femminile, coro giovanile, Lagerkapelle
Fonti: Beit Theresienstadt, Givat Haim Ichud (Israele). Istituto di Letteratura Musicale Concentrazionaria, Barletta (Italia)
Pur nel suo tragico epilogo, la storia della scrittrice, poetessa e musicista ebrea morava Ilse Weber è tra le più emozionanti e avvincenti dell’immenso patrimonio biografico di uomini e donne che hanno creato musica in cattività durante la Seconda Guerra Mondiale. Nata l’11 gennaio 1903 a Witkowitz (oggi Vítkovice v Krkonoších, Repubblica Ceca), virtuosa in numerosi strumenti musicali nonché autrice di canzoni e opere teatrali per l’infanzia, nel 1930 Ilse (il suo cognome da nubile era Herlinger) sposò Vilém Weber e si trasferì con lui a Praga. Nel 1939, durante i giorni dell’invasione tedesca di Boemia e Moravia, i coniugi Weber misero in salvo il loro figlio maggiore Hanuš trasferendolo in Gran Bretagna. Nel febbraio 1942 Ilse, suo marito e il figlio minore Tomáš (detto Tommy) furono deportati a Theresienstadt; ivi Ilse lavorò come infermiera addetta alla sorveglianza infantile, scrisse circa 60 testi poetici, alcuni dei quali messi in musica con accompagnamento musicale. Ai primi di ottobre 1944 scelse volontariamente di seguire suo marito ad Auschwitz-Birkenau con il figlio Tommy; il 6 ottobre Ilse e Tommy furono mandati a gasazione con altri ragazzi provenienti da Theresienstadt. Prima del trasferimento ad Auschwitz-Birkenau Vilém nascose i componimenti poetici e musicali di sua moglie nel maneggio di Theresienstadt; sopravvissuto, dopo la liberazione tornò a Theresienstadt travestito da ufficiale dell’esercito cecoslovacco e recuperò il materiale di Ilse.
Le canzoni di Theresienstadt pubblicate sono otto. Ma Lotoro ne ha scoperto una in più, una filastrocca in lingua ceca su un medico che un giorno a Terezín visitò un bambino e alla fine gli disse con aria severa che era malato di…”terezinite”.
La canzone è stata ricostruita grazie all’incontro di Lotoro con la nota cantante israeliana Aviva Bar-On, che fu deportata decenne ad Auschwitz dove conobbe Ilse Weber, e ha accettato di essere presente a Roma per cantarla insieme al Coro delle voce bianche dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.

Když jsem ležel v Terezíně na té dětské marodce
přišel doktor na vizitu prohližel mě důkladně.
Ťukal tu a ťukal tam pak mi řekl cojá mám.
Ty máš Terezínku, Terezínku, Terezínku máš.
Zlou nemoc uškrtíme špuntícek tam strčíme.
Ty máš Terezínku, Terezínku, Terezínku máš.
Když jsem ležel v Terezíně na té dětské marodce
přišel doktor na vizitu prohližel mě důkladně.
Ťukal tu a ťukal tam pak mi řekl cojá mám.
Ty máš ikterusek, ikterusek, ikterusek máš.
Tobě dáme z protekce dozadnice injekce.
Ty máš ikterusek, ikterusek, ikterusek máš.
Když jsem ležel v Terezíně na té dětské marodce
přišel doktor na vizitu prohližel mě důkladně.
Ťukal tu a ťukal tam pak mi řekl cojá mám.
Ty máš morbilinky, morbilinky, morbilinky máš.
Tobě každou hodinu chlebíček se slaninů.
Ty máš morbilinky, morbilinky, morbilinky máš.

Quando giacevo a Terezín nel lazzaretto dei bambini
il dottore venne a fare il controllo e mi visitò accuratamente.
Dava un colpetto qui e uno lì e poi mi diceva che cosa ho.
Tu hai la Terezinite, Terezinite, Terezinite tu hai.
Strozzeremo la brutta malattia e ci infileremo un tappo.
Quando giacevo a Terezín nel lazzaretto dei bambini
il dottore venne a fare il controllo e mi visitò accuratamente.
Dava un colpetto qui e uno lì e poi mi diceva che cosa ho.
Tu hai l’itteruccio, l’itteruccio, l’itteruccio tu hai.
Per guarirti ti faremo un’iniezione nel sedere.
Quando giacevo a Terezín nel lazzaretto dei bambini
il dottore venne a fare il controllo e mi visitò accuratamente.
Dava un colpetto qui e uno lì e poi mi diceva che cosa ho.
Tu hai il morbillino, il morbillino, il morbillino tu hai.
A te daremo ogni ora una fetta di pane con la pancetta.

Adottata
da Antonietta Mira

10.
Prelude (Fryderyk Chopin) [arrangiamento per orchestra vocale femminile]
Margaret Dryburgh (1890-1945) e Norah Hope Chambers (1905-1989)
Palembang 1943
coro femminile
Fonte: Frisia cantat, Hilversum 1986

Il 15 febbraio1942 il Giappone occupò Sumatra e altre isole delle Indie Orientali Olandesi (oggi Indonesia) catturando prevalentemente donne olandesi e britanniche e internandole a Palembang. Margaret Dryburgh, missionaria presbiteriana versata nella musica e autrice nel 1942 del The Captive’s Hymn per coro femminile, grazie alla sua prodigiosa memoria e alla collaborazione di Norah Hope Chambers, arrangiò per coro femminile brani di musica classica (tra cui Bach Mozart, Beethoven, Chopin, Dvořák, Ravel, Grieg), che venivano eseguiti da una orchestra vocale di una trentina donne che, in mancanza di strumenti, li riproducevano intonando alcune sillabe convenzionali. I concerti iniziarono alla fine del 1943 e proseguirono sino ai primi mesi del 1945 allorquando gli estenuanti trasferimenti presso altri campi di Sumatra (Muntok, successivamente Loebok, Linggau e Balalau), la malnutrizione, le malattie tropicali e il crudele trattamento da parte dei giapponesi minarono le già precarie condizioni fisiche di Margaret Dryburgh (che morì nell’aprile 1945 a Bangka Island) e decimarono sia le prigioniere che il coro.

Adottato
da Alex e James Goren, in ricordo di Opi Max

11.
Bolero (Maurice Ravel) [arrangiamento per orchestra vocale femminile]
Norah Hope Chambers (1905-1989)
Palembang 1943
coro femminile
Fonte: Frisia cantat, Hilversum 1986

Margaret Constance Norah Hope nacque a Singapore il 26 aprile 1905. Laureata alla Royal Academy of Music di Londra, ha vissuto in Malesia per quasi 40 anni, prima con i suoi genitori e più tardi quando ha sposato John Chambers. Quando le truppe giapponesi invasero la Malesia, i coniugi Chambers ripararono la loro figlia di 5 anni in Gran Bretagna. Da Singapore riuscirono a imbarcarsi sulla nave di salvataggio Vyner Brooke che fu bombardata e affondata dall’aviazione giapponese. I Chambers furono internati in campi separati. Nei campi di prigionia di Sumatra e Bangka Island Norah fraternizzò con Margaret Dryburg, con la quale arrangiò per coro femminile brani di musica classica (tra cui Bach, Mozart, Beethoven, Chopin, Dvořák, Ravel, Grieg), che venivano eseguiti da un’orchestra vocale di una trentina donne che, in mancanza di strumenti, li riproducevano intonando alcune sillabe convenzionali.
Norah Hope Chambers a differenza della Dryburgh sopravvisse alla crudeltà dei Campi di internamento giapponesi, e si stabilì a Jersey (Channel Islands) dove morì il il 18 giugno 1989.
Il 10 marzo 1982 presso la Stanford University (California) il Peninsula Women Choir di Palo Alto diretto da Patricia Hennings eseguì in concerto l’intera collezione di brani corali delle due musiciste. Nel 1995 Helen Colijn, già internata nel Campo giapponese di Palembang, pubblicò i volumi musicali Song of Survival. Women Interned contenenti i brani per coro femminile arrangiati dalla Dryburgh a Palembang in collaborazione con Norah Hope Chambers. Un forte contributo alla promozione della produzione corale femminile nei campi giapponesi durante la guerra è stato fornito dal film Paradise Road (1997) con la regia di Bruce Beresford (tra le attrici protagoniste Glenn Close, Cate Blanchett e Pauline Collins), ispirato alle prigioniere di Sumatra e all’attività musicale della Dryburgh, della Chambers e del coro femminile di Palembang.

Adottata
da Roberto Spada
da Patrizia di Carrobio

12.
Piosenka dla Mamy  –  Canzone per la mamma
Testo di Stanisława Lempart Gąskowa (1926-2010)
Melodia su Mamma son tanto felice di Cesare Andrea Bixio
Auschwitz I Stammlager 1942
voce femminile, Lagerkapelle
Fonte: USHMM – Aleksander Kulisiewicz Collection, Washington DC

Era abitudine in tutti i campi di concentramento la riscrittura di canzoni celebri con testi ideati ad hoc. Ed è un filo rosso che lega idealmente campi diversi e lontani. Mamma son tanto felice era una delle canzoni più popolari all’epoca in tutta Europa. E la ritroviamo riscritta e cantata sia da uomini che da donne, in realtà molto diverse e lontane.
Ad Auschwitz la versione più nota è quella di Stanislawa Gaskowa, di cui si sa molto poco: solo che era residente a Łódź prima della deportazione. Il testo della canzone fu consegnato nel gennaio 1976 al musicista e ricercatore musicale polacco Aleksander Tytus Kulisiewicz (1918-1982), sopravvissuto a Sachsenhausen. Mentre nell’originale italiano il figlio è in procinto di tornare ad abbracciare la sua mamma lontana, qui c’è la consapevolezza che la separazione è irreparabile: “davanti a me vedo tutto nero…”.

Mamo, nie jesteś Ty ze mną,
nie słyszysz Ty moich słow, 
Mamo, nie jesteś Ty ze mną, 
nie słyszysz Ty moich słow,
w oczach mi strasznie jest ciemno, 
czy będę wolna znów? 
Mamo, Twa córka dziś za Tobą płacze; 
Mamo, a kiedyż tobą płacze;
Mamo, a kiedyż ja Ciebie zobaczę? 
Tak smutno, tak smutno, tęskno i tak bensłonecznie,
kiedy Twa przecućna twarz
nie śmieje się sordecznie. 
Mamo, Twa córka dziś za Tobą płacze. 
Ach, kiedyż wrócę, 
by zobaczyć Twą twarz.
Mama,… 

Mamma cara, non sei insieme a me
e non ascolti le mie parole.
Davanti a me vedo tutto nero
quando, quando sarò libera di nuovo?
Mamma, tua figlia oggi piange per te,
Mamma, quando ti vedrò di nuovo?
Tutto è così triste, neanche un raggio di sole
se il tuo viso bellissimo non mi sorride
Mamma, tua figlia oggi piange per te,
E quando potrò tornare,
quando potrò di nuovo vedere il tuo viso,
mamma

Adottata
da Alex e James Goren, in ricordo di Stella
da anonimo, in ricordo di Frieda Lehman con amore

13.
Mamo, mamo, mamo  –  Madre, madre, madre
Popolo Romanò, Roma Burgenland-Lovara
Zigeunerlager Auschwitz-Birkenau 1945?

coro femminile, Lagerkapelle
Fonte: Ursula Hemetek and Mozes Heinschink, Lieder im Leid. Zu KZ–Liedern der Roma in Österreich in Jahrbuch des Dokumentationsarchiv des österreichischen Widerstands. Recording sources in Austria: Ceija Stojka, Wien, 1990

Nelle composizioni scritte da donne il tema della maternità è coniugato sotto molti aspetti: ninne-nanne e filastrocche, amore e sofferenza per i figli ma anche rapporto e nostalgia per la propria madre. Non ne sono esenti neanche le donne del popolo romanò ed è un aspetto della loro cultura che esula da quello che è il comune immaginario collettivo. Rispetto alle canzoni delle musiciste ebree, quelle dei roma hanno testi molto semplici: per loro contava l’esecuzione, la musica, l’improvvisazione che faceva di ogni canzone uno spettacolo emozionante.

Mamo, mamo, mamo soste bararadan man
soste bararadaniaj man pe kadi de bari luma?
Mamo, mamo, mamo soste bararadan man
e bare čorimaske thai bare gindonge?

Madre, madre, madre, perché mi hai fatto crescere
in questo mondo così grande?
Madre, madre, madre, perché mi hai fatto crescere
in questo mondo con così tante preoccupazioni e grande povertà?

Adottata
da James e Manuela Goren, per tutti coloro ai quali è negato il soggiorno nei Paesi sviluppati

14.
Qui in questa terra
Testo di Frida Misul (1919-1992)
Melodia su Ha-tikvah di Samuel Cohen
Block femminile italiano di Auschwitz-Birkenau 1944

coro femminile, Lagerkapelle
Fonte: Rachele Levi, Novara. Roberto Rugiadi, Livorno

La cantante ebrea livornese Frida Misul aveva sperato di salvarsi dalle persecuzioni utilizzando a partire dal 1940 il falso nome di Frida Masoni. Ma fu denunciata e nel maggio 1944, arrestata ad Ardenza [Livorno] e trasferita a Fossoli, e un anno dopo ad Auschwitz II Birkenau. Qui si ammalò di polmonite e nefrite e fu gravemente percossa perdendo quasi tutti i denti. Ciò nonostante riuscì a intrattenere con il suo canto compagne di prigionia, autorità tedesche e kapo. Creò altresì parodie tra le quali Qui in questa terra su una melodia di Samuel Cohen che sarà scelta come inno nazionale israeliano. Il canto veniva intonato clandestinamente nel campo dal gruppo femminile italiano (l’italiana Settimia Spizzichino, sopravvissuta ad Auschwitz e Bergen-Belsen, riporta la medesima parodia con parziali modifiche del testo): presso il settore femminile di Auschwitz-Birkenau il canto solistico o corale era la forma musicale più gettonata e coinvolgente e in tale arte primeggiavano le deportate greche e soprattutto quelle italiane.
Frida Misul fu trasferita il 16 novembre 1944 a Flossenbürg e nel maggio 1945 a Theresientadt, ove fu liberata il 9 maggio1945, riuscendo ad arrivare a casa il giorno di Kippur, come si era augurata nel suo canto.

Qui in questa terra triste e maledetta soffrono molto i figli d’Israele.
Stanchi e sfiniti da atroci pene noi aspettiamo la liberazione.
O gran Dio, rispondi anche Tu,
noi vogliamo tornare per il Kippur. Amen.

Adottata
da Paola Formenti Tavazzani, in omaggio a Liliana Segre
da Adei Wizo

15.
Traum  –  Sogno
Johanna Lichtenberg “Gania” Spector (1915-2008)
KZ Prèču-Riga 1943
voce femminile, pianoforte
Fonte: Johanna Spector, Ghetto und KZ–Lieder aus Lettland und Litauen 1947

La musicista lettone Johanna Lichtenberg, nata il 23 Marzo 1915 a Libau/Liepāja (Lettonia), è una artista e studiosa straordinaria che, sopravvissuta alla deportazione e ai maltrattamenti in diversi campi di concentramento, emigrò nel 1947 negli U.S.A. Qui, conseguito il dottorato in Lingua Ebraica alla Union College e un master alla Columbia University, fondò e diresse il dipartimento di etnomusicologia dell’Università di Musica Ebraica del Seminario Teologico Ebraico d’America. Autrice di libri e di contributi in enciclopedie e riviste specializzate, fu produttrice di documentari sulle comunità ebraiche in tutto il mondo e collezionò oltre diecimila registrazioni di musica religiosa e popolare dalle comunità in India, Yemen, Azerbaijan, Egitto, Armenia così come del popolo samaritano, contribuendo alla conoscenza di un patrimonio musicale e culturale che senza di lei sarebbe andato perduto.
Scrisse la struggente canzone Traum (Sogno), mentre era internata nel ghetto di Riga, dove erano confluiti numerosi musicisti, scrittori e artisti da tutta la mitteleuropa, e dove ferveva l’attività teatrale e culturale in una sala adibita a spettacoli presso il settore Köln del ghetto.
Successivamente, Johanna fu deportata in diversi campi di concentramento, e perse tutta la sua famiglia d’origine e il marito Robert Spector.
Ma la terribile esperienza di quegli anni la stimolò a dedicarsi a salvare dall’oblio la tradizione culturale e musicale ebraica fin nelle comunità più sperdute. Un modo per contrastare la Shoah della cultura e della musica messa in atto dai nazisti insieme allo sterminio di chi quei capolavori li aveva prodotti.

Mein Traum fliegt gen Himmel ins Himmelblau,
Breit’ aus die Schwingen, versilbert vom Tau,
Es strebt meine Sehnsucht zum Firmament
Und fliegt immer höher, nichts, was sie hier hält.
Ach, hätt ich doch Flügel und könnte so fort,
Ich flög in den Äther, ach dorthin, ach dort,
Wo der Friede, die Eintracht, das Glück sind zuhaus’,
Die ewige Ruhe, kein Schauer, kein Graus.
In Silber und Blau und Rot und Gold,
Zu Mond und Sternen und Sonne hold,
Zu Licht und Reinheit und Glanz und Schimmer,
Zur Pracht und Schönheit, auch Leichtsinn und Flimmer.
Mein Traum fliegt gen Himmel ins Himmelblau,
Breit’ aus die Schwingen, versilbert vom Tau,
Es strebt meine Sehnsucht zum Firmament
Und fliegt immer höher, nichts was sie hier hält.

Il mio sogno vola in cielo, verso l’azzurro del cielo
si spalancano le mie ali, argentate di rugiada
E la mia nostalgia si dirige al firmamento
E vola sempre più in alto – nulla la può trattenere.
Oh, avessi io veramente le ali e potessi volare
alta nell’etere, laggiù, laggiù,
dove abitano pace, felicità e concordia
Dove il riposo è perenne, e non ci sono né brividi, né orrore.
Volo verso l’argento, il blu, il rosso e l’oro,
Verso la luna e le stelle e il bel sole,
Verso la luce, la purezza, lo scintillio e il fulgore,
Verso lo splendore e la bellezza, la leggerezza e l’incanto.
Il mio sogno vola su in cielo, verso l’azzurro del cielo
si spalancano le mie ali, argentate di rugiada
e la mia nostalgia si dirige al firmamento
e vola sempre più in alto – nulla la può trattenere.

Adottata
da Isabelle Lierman-Graisse
da Maria Grazia Mattei
da Paola Severino
da Soroptimist International d’Italia Club Varese

16.
Dremlen Feygl  –  Dormono gli uccelli
Melodia su S’iz keyn broyt in shtub nishto di Leyb Yampolski
Testo di Leah Rudnitski (1916-1943)
Ghetto di Vilnius 1941
voce femminile, Lagerkapelle
Fonte: Schmerke Kaczerginski, Lider fun di getos un lagern, New York 1948

Leah Rudnitski è una letterata e attivista politica di grande spessore intellettuale e di grande coraggio. Nata nel 1916 a Kalwarija (Lituania), nel 1939 si trasferì a Vilnius, dove partecipò alla ricca attività letteraria locale in lingua yiddish. Insegnante, poetessa e giornalista, nel 1940 entrò a far parte dello staff editoriale della rivista yiddish Vilna Emes. Scrisse poesie, canzoni e fu un membro attivo del circolo letterario e artistico del ghetto dopo l’invasione tedesca nel 1941. Coinvolta nella resistenza partigiana, partecipò a operazioni di sabotaggio. Arrestata dalla Gestapo insieme al compositore e partigiano Hirsh Glik, nell’autunno 1943 fu trasferita a Treblinka dove fu uccisa.
Questa struggente ninna-nanna testimonia una abitudine che si riscontra in tutti i campi di concentramento, maschili e femminili, e non solo quelli nazisti: ovvero l’utilizzo di melodie celebri riproposte con testi che raccontano la sofferenza e le privazioni dei deportati. Le donne in particolare si distinguono per la cura con cui rielaborano i testi, bellissime testimonianze poetiche del dolore inesprimibile della loro condizione.

Dremlen feygl oyf di tsvaygn,
Shlof, mayn tayer kind.
Bay dayn vigl oyf dayn nare
Zitst a fremde un zingt: lyu, lyu.
S’iz dayn vigl vu geshtanen
Oysgeflokhtn fun glik.
Un dayn mame, oy dayn mame,
Kumt shoyn keynmol nit tsurik: lyu, lyu.
Kh’hob gezen dayn tatn loyfn
Unter hogl fun shteyn.
Iber felder iz gefloygn
Zayn faryosemter geveyn: lyu, lyu.

Dormono gli uccelli sugli alberi
Dormi anche tu, mio bambino
Accanto alla tua culla
sta uno straniero e canta: Ninna nanna, ninna
La tua culla è abbandonata
la felicità ne è fuggita via
e la tua mamma, sì, la tua mamma,
non tornerà più
Ho visto tuo padre correre
sotto una pioggia di sassi
Sopra i campi si librava
il suo pianto orfano
Ninna nanna, ninna

Adozione anonima
in memoria di Betty Wechsler Goldstein

17.
Przed ostatnią podróżą  –  Prima dell’ultimo viaggio
Rena Hass [Irene Shapiro] (1925-2007)
Ghetto di Białystok 1942-1943
voce femminile, Lagerkapelle
Fonte: Bret Werb, USHMM Washington DC

Questo meraviglioso canto d’amore e di dolore fu scritto a soli diciassette anni da Rena Hass, internata nel ghetto di Bialystock, su testo del poeta ebreo polacco Bolesław Pachucki (deceduto a Treblinka). Rena, nata a Brzeżany (oggi Berezhany, Ucraina) il 6 settembre 1925, fu trasferita nel 1941 con i genitori presso il Ghetto di Białystok, dove il 16 agosto 1943 partecipò all’insurrezione del ghetto; imprigionata con i suoi familiari a Lublin-Majdanek, nel novembre 1943 vide con i suoi occhi il padre violinista Adolf ucciso dopo essere stato costretto a suonare con l’orchestra del campo. Successivamente fu trasferita presso il campo di lavoro coatto di Bliżyn, e nel maggio 1944 ad Auschwitz II Birkenau dove partecipò all’insurrezione del 7 ottobre 1944; poi in novembre presso il campo di lavoro coatto femminile della Lippstädter Eisen und Metallwerke, nel sub-campo di Buchenwald. Sua madre Ernestyna, insegnante, fu trasferita nel gennaio 1945 a Bergen-Belsen ove morì di inedia poco prima della liberazione del Campo.
Nel marzo 1945, già malata di tifo, Rena fu sottoposta a una Todesmarsch verso Berge-Belsen. II 15 aprile 1945 fu liberata dalle truppe statunitensi presso Kaunitz, sub-campo di Buchenwald creato nel marzo 1945 per ospitare le lavoratrici coatte sopravvissute a Lippstadt.
Eppure, nonostante l’orrore vissuto, Rena dopo la liberazione intraprese studi di medicina a Heidelberg (Germania), conseguì un dottorato e nel maggio 1946 si imbarcò sulla Marine Perch ed emigrò negli Stati Uniti beneficiando di un visto collettivo concesso dal governo statunitense. Nel 1948 sposò Marvin Shapiro, e negli anni successivi divenne docente di biologia presso la Bronx High School of Science di New York, pubblicando importanti ricerche e anche il libro di memorie Revisiting the Shadows (Rivisitare le ombre).
Un luminoso esempio di resilienza, coraggio e forza d’animo.

Jak tonący okręt przed burzą, Dzisiaj kołysze się świat.
Wciąż czekamy milcząc już ostatniej podróży.
W serca nam smutek się wkradł. W górze,
jak dawniej lśnią gwiazdy na niebie.
Księżyc, jak dawniej, znów woła dziś nas.
Zagubieni w nocy odnaleźliśmy siebie.
I dawno miniony czas. Noc nas połączyła zbłąkanych w
bezdrożu, Gdy świat się zapalił, zatonął we krwi…
Razem gdzieś płyniemy po burzliwym morzu,
Na spienionej fali ciemnych dni.
Noc nas połączyła i nic nie rozłączy.
Serca nam zgodny zjednoczył już rytm.
Głos czyjś nam szepcze, że noc wnet się skończy,
W dali różowi się świt.

Come una nave che affonda, prima della tempesta, oggi il mondo traballa.
Sempre aspettiamo, tacendo, l’ultimo viaggio. La tristezza pervade i nostri cuori.
In alto le stelle brillano, come prima, nel cielo.
La luna, come prima, ci chiama di nuovo. Persi nella notte,
ci siamo ritrovati l’un l’altro. E il tempo passato. La notte ci ha uniti, noi smarriti nei luoghi impervi,
quando il mondo si è incendiato, è affondato nel sangue… Insieme navighiamo da qualche parte sul mare burrascoso, sull’onda spumeggiante dei giorni bui.
La notte ci ha uniti e niente ci dividerà. I nostri cuori,
li ha uniti un ritmo concorde.
Sento qualcuno sussurrarci che la notte finirà presto, In lontananza rosseggia l’alba.

Adottata
da Chiara Boni

18.
Žalm vdov po národních zen mučednících r.1945 v Ravensbrücku
Salmo delle vedove dei martiri nazionali del 1945 a Ravensbrück
Ludmila Kadlecova Peškařová (1890-1987)
Ravensbrück 1945

coro femminile, coro giovanile, Lagerkapelle
Fonte: Akademie der Künst, Berlin

Quando nel 1945 i Campi di concentramento furono liberati dalle truppe Alleate, Ludmila Peškařová compose questo salmo dedicato a tutte le donne che nel conflitto persero i mariti, e agli uomini che si sacrificarono in nome dei loro ideali.
Suo marito, l’insegnante e violoncellista Jan Peškař, membro della resistenza ceca, era stato arrestato e ucciso il 14 giugno 1942 a Brno, in ritorsione per l’uccisione del governatore del Reichsprotektorat Böhmen und Mähren Heydrich durante l’operazione Anthropoid. L’anno successivo, Ludmila fu a sua volta arrestata dalla Gestapo per alto tradimento: aveva esposto due bandierine nere dietro la finestra della propria abitazione per commemorare l’anniversario della morte di suo marito. Separata dal figlio 14enne e trasferita presso la prigione di Brno-Cejl, durante i 5 mesi di detenzione scrisse varie opere. Nell’ottobre 1943 fu trasferita a Ravensbrück dove rimase fino alla liberazione. Per celebrare quel momento storico così desiderato e atteso, scrisse un arrangiamento per voci femminile del Biblische Lieder op. 99 n. 7 di Antonín Dvořák, ispirato al Salmo 137 nel quale si narra degli ebrei esuli in Babilonia ai quali i carcerieri chiesero invano di cantare. Questo Salmo è diventato il simbolo della liberazione dei campi.

Bože velký, proč jsi nás opustil, v hloubi duší těžhý žal zapustil?
Mučedníků kříže všude planou, kol nich vhně pomsty brzo vzplanou.
Nezapomináme křivdy vrahům, žalob tíhu kladem k nebes prahům.
Slunce rudé, krví napojene, osvit kalich mysli opojené.
Trestem vrahů soudem spravedlivým. V pláči budem žehnati rukám, toým.
V prach poroby nectně zušlapány, přec’čekáme hrdě další rány.
Kéž odhodí smrt unavenákord, by doznél války postední akord!

Dio onnipotente, perché ci hai abbandonato
e hai permesso questo dolore nel profondo dell’anima?
Ovunque vengono erette le croci dei martiri,
presto intorno a loro le fiamme della vendetta bruceranno.
Non dimentichiamo le ingiustizie degli assassini,
demandiamo il peso delle accuse alla soglia del cielo.
Sole rosso, pregno di sangue, illumina il calice della mente annebbiata.
Che un tribunale giusto punisca gli assassini.
Piangendo rivolgeremo le mani al cielo.
Nella polvere della schiavitù, calpestate e disonorate,
con fierezza sopporteremo altre ferite.
Che la morte si stanchi e getti via la spada
affinché della guerra rintocchi l’ultimo accordo!

Adottata
da Vivien Buaron con Marina Astaldi, Lorenza Caputi, Sabrina Florio e Raffaella Sciarretta

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